I genitori hanno il diritto e talvolta il dovere di mantenere i propri figli fino a quando questi non raggiungono l’autonomia economica, ma attenzione alla legge.
Questo principio è ben radicato nel nostro ordinamento giuridico e trova espressione nell’articolo 315 bis del codice civile, che stabilisce i diritti e i doveri dei figli conviventi.
Secondo questa normativa, una volta che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, se continua a vivere nella casa familiare, è tenuto a contribuire alle spese quotidiane in base alle proprie possibilità finanziarie. Questo obbligo nasce dalla convivenza e dalla capacità economica del figlio.
La questione dell’età rappresenta un punto cruciale in questo contesto. La Cassazione ha stabilito che oltrepassata una certa soglia d’età, specificatamente intorno ai 30-35 anni, cessa definitivamente l’obbligo dei genitori di mantenere i propri figli e garantire loro un alloggio. Ciò significa che i genitori hanno piena facoltà di chiedere ai loro figli adulti economicamente indipendenti di lasciare la casa familiare.
Il contributo richiesto al figlio adulto copre tutte le spese necessarie alla gestione della casa: dalle utenze al condominio, dalle imposte alla spesa quotidiana. È importante sottolineare che questo dovere non si limita solo alla teoria; è un obbligo legale chiaramente definito dal codice civile italiano.
Oltre all’obbligo di contribuire alle spese domestiche qualora si viva sotto lo stesso tetto, esiste anche un secondo scenario previsto dall’articolo 438 del codice civile: quello dell’obbligazione verso i genitori in condizioni economiche precarie o salute cagionevole. In questo caso, indipendentemente dalla convivenza, il figlio è tenuto a fornire supporto finanziario per garantire ai genitori una vita dignitosa. Questa forma di sostegno prende il nome di “versamento degli alimenti”.
Sebbene la legge preveda chiaramente questi doveri da parte dei figli adulti nei confronti dei loro genitori o della famiglia con cui convivono, manca una vera e propria sanzione legale nel caso in cui tali obblighi non vengano rispettati. I genitori si trovano quindi davanti a un bivio: accettare passivamente la situazione o prendere provvedimenti autonomi per far valere i loro diritti.
A differenza della mancata contribuzione alle spese domestiche da parte del figlio convivente senza sanzioni dirette applicabili, nel caso in cui un figlio rifiuti di versare gli alimenti ai genitori bisognosi si apre la possibilità per questi ultimi di agire legalmente contro di lui. Possono rivolgersi al tribunale affinché il giudice imponga al figlio l’obbligo del versamento degli alimenti; qualora quest’ultimo continui a disobbedire può arrivare fino al pignoramento dei beni come forma coercitiva.
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